(un racconto di fantasia)
Fa freddo. Sento battere la pioggia sopra di me.
Mi sento debolissimo. E' da due giorni che non mangio.
E' da tanto tempo che non mangio regolarmente. E' da cinque giorni che vago cercando di arrivare in una citta chiamata Milano in cui ero passato arrivando dalla Cina prima di iniziare a lavorare.
Questa acqua gelata sembra congelarsi sulle ferite, sulle tumefazioni che ho in volto.
Barcollo. Il mio fisico, gia magro, ha perso ancora peso.
Aspetto in questa triste mattina d'inverno qualcosa che mi porta in quella citta'.
Restare qui significherebbe la fine. Non capisco niente, ne' i segni, ne' le parole. Sono completamente isolato.
I padroni mi hanno picchiato per l'ennesima volta perche' non avevo rispettato il silenzio durante il lavoro.
Non sono mai riuscito a stare in silenzio. Anche da bambino sotto la pioggia calda del mio villaggio non potevo fare a meno di cantare delle storielle, la stessa pioggia che mi aveva accompagnato da Guilin a Shanghai. Era calda, "umida", quasi confortevole, come essere immerso in una gigantesca tazza di the. Ora e’ terribilmente fredda. Anche volendo non riesco a smettere di tremare.
La gente mi guarda quasi impaurita. Il mio corpo scheletrico sussulta come se fosse attraversato da scariche elettriche.
Cerco di chiedere per Milano ai passeggeri che scendono da un piccolo treno, sillabando solo il nome. Capisco, da una ragazza, che questo treno appena arrivato non e' quello giusto. Mi accorgo che una strana ombra nera mi osserva. Il suo cappuccio e' totalmente abbassato e non riesco a vedere i suoi occhi. Mentre mi muovo, barcollando, e' sparita. Ritorno indietro in questa piogga che sembra quella del monsone ma e' terribilmente gelata. Sono troppo poco vestito, senza un ombrello. Sto malissimo. Tutte le altre persone velocemente si sono spostate verso un tabellone dove, forse, sono indicate le destinazioni dei treni.
Chiedo ancora ad altri. Sono fradicio come se fossi caduto in un pozzo. L'ombra ha ora un volto. E' serissimo e pensieroso ma, in un secondo, l'espressione cambia in un sorriso molto dolce, per ritornare ancora piu' velocemente ad uno sguardo ruvido. E’ in angolo, distante. Riesco a capire che devo scendere delle scale. Ora sono al riparo ma continuo a tremare in un modo che non riesco a controllare, il freddo, forse la febbre.
Devo salire la rampa di scale che porta al treno. E' terribilmente faticoso, diventa un esercizio lungo ed estenuante nella mia condizione. Nessuno pero' sembra accorgersi di me se non per scostarsi e guardarmi come se fossi un cane che sta morendo. Mi sento, comunque, osservato.
Il treno arriva, tutti salgono. Mi sembra di essere rimasto l'ultimo della fila che si infila nella porta di una carrozza gia' piena all'inverosimile. La gente sale lentamente. Sto per cadere. Le forze sono finite.
Qualcuno mi sostiene nonostante sono completamente bagnato, deve essere completamente pazzo. Non ero l'ultimo. Mi abbraccia. Mi mette qualcosa velocemente in un guanto e stringe in modo che nessuno veda come in una stretta di mano. Mi aiuta a salire sulla carrozza.
Sono salito ed ora, anche il “vero ultimo”, l'ombra nera, e' salita. E' meno nera. Sotto il cappuccio non vedo piu' il cappello e non ha neppure piu' i guanti. Nel mio guanto, che apro appena, invece, ci sono molti soldi.
Non li voglio. Non capisco, cammino nel corridoio affollato e mi allontano. Mi deve avere dato tutto
quello che aveva in tasca ma e' davvero tanto.
Non riesco a capire. Sembra quasi un sogno, forse la febbre, ma mentre mi ha abbracciato evitandomi di cadere mi sembra di avere percepito delle parole in cinese, sussurate: <<Per il cibo, per coprirsi, per dormire>>.
Stamattina pensavo che era finita. Ora forse riusciro' a resistere ancora qualche giorno. Se riesco ad arrivare a Milano e trovare qualcuno che parla la mia lingua, quelle persone con cui avevo parlato appena arrivato.
Vorrei ritornare indietro e ringraziarlo ma sono troppo sfinito.
Il caldo mi rende un po' piu' lucido e mi accorgo che nelle tasche del mio giubbino primaverile c'e' qualcosa. Un berretto nero, di lana, con uno stemmino verde e dei guanti pesanti non miei.
The World Outside, one day, November 2010 08:33 a.m.
Ku
The Global "Contradiction"
Where is the Way ...?
義
礼